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Livia come Faustina. Una storia di trecce a Brendola

 
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Pubblicato da su 11/04/2024 in Articoli

 

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Pubblicato da su 12/02/2024 in Articoli

 

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LA SPADA DELLA VITTORIA

Un capolavoro del Morlaiter ai Gesuiti, La Santa Barbara della quale a ca’ Rezzonico esiste il bozzetto in terra cruda dove il piccolo Cherubini a destra è già presente, sembrando a prima vista in una posizione provvisoria. La bandiera è attributo di Sant’Orsola e mi confondeva la sua presenza, anche se le reliquie sottostanti dichiarano si tratti di Santa Barbara. Ieri che le luci dell altare erano pure rotte, ho chiesto alla custode Albanese di potermi avvicinare alla statua. Con un lumino di cera e salendo sopra l altare ho visto che il rilievo sul vessillo ha la torre merlata guelfa e le tre aperture trinitarie, tutto a confermare che è Santa Barbara. Probabilmente riproduce uno stendardo della Confraternita omonima. La bellezza della figura mirante il cielo, in eleganti drappi all’antica, esibisce solo la meritata palma della vittoria sulla morte, e con la mano destra, un dito è rotto, stringe solo l estrema foglia del ramo di palma.

Penso che questo singolare gesto che ostenta la foglia come fosse una lama, alluda alla spada che la decapito’. Finezze e doppi sensi, economia iconografica e retorica forense e CULTUALE, dimostrano la dinamica cultura veneziana del 700 chiamata ridicolarmente, ROCOCÒ!

 
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Pubblicato da su 23/12/2023 in Articoli

 

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QUANDO GESÙ ERA MONELLO.

La pala del Garofalo con il commiato di San Giovannino.
di Guerrino Lovato

Nella chiesa bolognese del Santissimo Salvatore si conserva, da antica committenza Mazzoni e poi Facci, la straordinaria pala di Benvenuto Tisi chiamato Garofalo, firmata e datata 1542, purtroppo oggi gravemente danneggiata dai tarli.
E’ un’opera famosa e celebrata dalla letteratura artistica come una classica composizione dove le invenzioni di Raffaello vengono adattate ad una sacra conversazione dall’equilibrato genio del Garofalo, espresso nel perfetto equilibrio tra la forma e il colore come tra la luce e l’ombra, il tutto contenuto da un fermo disegno, una perfetta anatomia, sontuosi drappeggi e gesti equilibrati.
Nel paesaggio del fondo meteorologicamente tizianesco, vi è il battesimo di Cristo nel Giordano ad opera del Battista.  In primo piano vediamo un consesso della sacra parentela riunita a salutare il congedo del giovanetto Giovanni dai parenti, dal padre Zaccaria, regale e benedicente, e dalla dolente madre Elisabetta, che avendolo avuto in tarda età, ne accusa la precoce perdita asciugando le lacrime da un volto ancora più invecchiato.
Zaccaria, anziano sacerdote del tempio, è seduto su un ampio e marmoreo trono dove due sfingi sapienti figurano nei braccioli poggianti una su di un libro e l’altra sulla testa di un agnello come diretti simboli ebraici; al di sotto, quasi come in un sarcofago, vi è un rilievo antico; il tutto è carico di archeologia classica come il probabile tempio ebraico dove avviene il commiato.
Quattro grandi colonne ioniche sorreggono una marmorea struttura dove in alto, in un angolo, siede, scolpito, un nudo angioletto seduto, assieme ad un gemello più lontano. Una nicchia vuota e un arco in bugnato alla romana, prima di Giulio Romano e del Serlio, apre su di una terrazza balaustrata che guarda verso la scena del Giordano.
I putti, gli eroti o gli angeli seduti sui balconi o al di sotto di questi a sostenerli, sono una presenza singolare e frequente nei palazzi ferraresi. L’adolescente e ricciuto Giovanni, quasi inginocchiato su uno sgabello in legno, parte per il deserto scalzo, vestito di due povere vesti, non ancora di pelle caprina, ma già annodate alla spalla e al fianco. Egli è coperto da un rosso manto mosso dall’aria mentre ferma è la sua decisione, invocante la benedizione del padre Zaccaria, con le braccia conserte al petto, nel significato di speranza e fede.
Il gesto del vecchio Zaccaria è benedicente e di indicazione di quanto vediamo sullo sfondo, ossia il destino del Battista e il suo rosso manto che allude al sanguinoso martirio. Le altre figure sono tutte in piedi. Il maturo barbuto è san Giuseppe e non Gioacchino, ha la lunga barba e i capelli biondo rossicci, e di colore arancio è la sua veste da robusto artigiano ebreo. Egli, con la mano sinistra, si appoggia ad un bastone di legno allusivo al mestiere e al destino di errante, non dunque Gioacchino come sempre si è scritto, per quanto san Giuseppe sia spesso raffigurato più anziano.
Sant’Anna ci guarda da anziana nonna avvolta in bianche stoffe, meno magra e dunque più giovane di santa Elisabetta. Accanto a lei vi è la figlia Maria, velata da vergine ma madre recente nei floridi seni, con le braccia alla Gioconda; la Madonna Maria guarda attenta a dove è finito il piccolo Gesù che, nudo, si nasconde guardandoci da dietro la gialla veste dell’inconsolabile zia Elisabetta; Gesù è cugino di Giovanni anche se qui la differenza di età non segue i tradizionali 6 mesi, ma il tempo di una matura adolescenza. L’identificazione di Gesù in questa straordinaria opera è una novità non solo all’interno di questo meraviglioso dipinto, ma anche nelle iconografie stesse della sua puerizia. Non è lui il coprotagonista, come dovrebbe essere all’interno della sacra parentela, ma qui è un vispo e disubbidiente bimbetto che vuole andare dove vuole mentre i grandi sono immersi nel mesto addio al troppo giovane eremita Giovanni. Non conosco altre opere dove Gesù bambino sia così marginalmente e nascostamente rappresentato: è pur sempre lui il figlio di Dio, ed è questo il motivo per cui in questa pala non era mai stato finora notato.  
E’ quasi un Gesù come rappresentato dai vari vangeli apocrifi, con i noti dispetti e miracoli vendicativi lì raccontati, come anche questa scena del congedo di Giovanni che proviene da detti testi e non dai vangeli canonici. Per la storia dell’educazione dei fanciulli nel Rinascimento è dunque interessante notare come la Madre di un Dio ancora bambino, si debba sempre occupare di lui senza perderlo di vista. E’ raro che in una pala d’altare la Madonna guardi lateralmente se non per indicarci, come in questo caso, dove stia l’assente Gesù, ancora monello, e dunque da educare nella crescita come fece Elisabetta col suo virtuoso e fedele Giovanni, già prematuramente pronto al deserto e alla solitudine mistica. Giovanni è il modello per Gesù e nei Vangeli lo si indica sempre come l’esempio più sacro. Anche per il piccolo Gesù, dunque, vi è stato un tempo spensierato e giocoso dove i vizi e le virtu’ ancora si confondono e l’indottrinamento è ancora di là da venire. Sant’Anna, che educò la Madonna, ci guarda come una nonna spazientita dalla troppa libertà concessa dalla madre Maria al piccolo Gesù, che girando la testa verso il basso le fa capire che comunque è ancora vicino, almeno nell’inquadratura dell’opera!
Il nobiluomo Mazzoni, abbigliato alla moda del primo 500 bolognese (chissà se si chiamava Gioacchino o se un suo avo avesse avuto questo nome, cosa che giustificherebbe l’assenza del marito di sant’Anna, sempre presente nella sacra parentela tradizionale), è posto sopra l’irrequieto Gesù, come a dirci che anche lui lo sorveglia e lo protegge, vista la di lui tenera e vivace età.

Maestro Guerrino Lovato, 3 maggio 2022

 
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Pubblicato da su 06/05/2022 in Articoli

 

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L’Hypnos di palazzo Nani

 
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Pubblicato da su 28/12/2021 in Articoli

 

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GIUDA IMPICCATO DAI SUOI SOLDI

A Bettona, Perugia, ho individuato una rara iconografia, dove nell’Ultima cena, Giuda appare due volte, in piedi lavandosi le mani e poi seduto in colloquio col demonio tentatore. È un grande affresco da refettorio di anonimo della fine del 500 nel convento francescano di San Crispolto, che necessita di un restauro. Un convegno creato sul tema a Bettona, nel 2019 mi ha dato l’occasione di indicare 22 diverse iconografie del mitico traditore di Cristo, sempre distinto iconograficamente da particolari segnali, raccontavo dell inedito, ma frequente modo di vestirlo in abito femminile, e senza barba, perché ha baciato e tradito, come fanno le donne viste dal misogino mondo antico e non. Uno per tutti è il pulpito di Cagliari, pisano del 200 del maestro Guglielmo, sembra Salome’ danzante per Erode, invece è Giuda a tavola che riceve il boccone indicativo, e pure nella scena del bacio nell’ orto del medesimo pulpito, è sempre vistosamente abbigliato. In procinto di pubblicare questa succosa ricerca completa, aggiungo ora, come lo ritrassse a tavola e su tavola, nel primo 500 Mathias Grunewald. Senza aureola e di profilo, a indicare il naso da ebreo, e al collo, a modo di collana, il sacchetto con i 30 danari. Altra corda, ma attorno al medesimo collo, lo soffochera’ nel colpevole suicidio, dopo aver gettato i danari ai piedi dei corrotti sacerdoti del tempio. Portare i soldi al collo che battono sul cuore, sottolinea la sua avida fede e insieme il suo triste destino. Sintesi visiva perfetta.

Maestro Guerrino Lovato, Venezia 24 ottobre 2021.

 
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Pubblicato da su 30/10/2021 in Articoli

 

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Gli attributi sugli attributi

Oggi analizzeremo la pala di San Nicola di G. Battista del Moro a San Fermo di Verona.

Ringrazio l’amico e pittore Riccardo a Curti per avermi sottoposto l’imponente dipinto di G. B. del Moro col curioso dettaglio, voluto dal pittore e dalla committenza e compreso dai fedeli veronesi nel primo 500, oggi considerato, se viene visto, una piega della veste, un cattivo restauro, o peggio, una goliardata! Invece…

La pala è dedicata a San Nicola di Bari, ma prima era di Mira, esalta l’importante figura di un grande vescovo e politico dell’antica cristianità d’oriente che ebbe i primi imperatori cristiani come sodali e anche oppositori verso la sua gente, oggi saremo in Turchia. Sta sulle nuvole in pompa magna con i completi paramenti sacri, dalla mitra al piviale, dal pastorale alla rossa stola incrociata sul petto e trattenuta in vita dal necessario cordone, ha guanti e rosse scarpe di velluto, e un’icona tessuta in fondo la veste. Con la mano destra impetuosa indica il crocifisso mirando a sant’Agostino non meno paludato di lui, ma più giovane e ancora con la barba nera, la sua ha il colore della saggezza e dell’autorità. Nella mano destra teneva i tre sacchettini d’oro, suo attributo consueto, specialmente dall’epoca gotica e solo in occidente. Per poter indicare il fine ultimo di tutti i cristiani indica la croce, e libera la mano dalle tre sacche dorate, riassunte in tre sfere, nel bianco grembo, che essendo seduto diventa una comoda sede, anche per poi riprenderle, Lotto ai Carmini veneziani, le fa tenere da un grazioso Angelo servente.

Lorenzo Lotto, 1529.Gloria di San Nicola. Particolare.

Nel medesimo grembo si è pure posto il grande e lungo fiocco bianco di seta, trattenuto in alto da una capocchia semisferica, fiocco che è il finale della cintura e che ha avrà il suo gemello oltre la gamba sinistra. È evidente e calcolato che i quattro oggetti lì combinati siano allusivi e sostitutivi alla virilità del potente vescovo, in uno stemma fallico e prorompente. San Nicola di Bari è patrono dei marinai in tutta l’Europa cristiana, sia per mare che per fiume, Adige compreso, infatti il mare sotto è in calma piatta e la barca viaggia a gonfie vele verso la sicura spiaggia, è il miracolo che sta avvenendo lì e ora! Sant’Agostino, con guanti dalle straripanti dita, col pastorale e con il piviale istoriato in rosso e verde e la bianca veste, sottolinea le tre virtù teologali, che determina con la mano destra e la spiaggia forse indica il famoso dilemma dell incomprensibile SS Trinità, che non non è contenibile dall’uomo. Sant’Antonio Abate eremita della Tebaide, col fedele e nero maiale, poggia le stanche mani sul bastone e sul petto, quest’ultima come fede e speranza, e pazienza l’altra , col campanello che avvisava l’arrivo degli appestati, dei quali lui era protettore. Nera é la veste, come l’antro dell’eremita ma azzurro come il cielo, che ora e sempre lo attira, è il resto della veste celestiale. La virtú è prerogativa dei Santi e non meno la loro virilità, parole che hanno la loro radice comune in vir, virtù tenuta a bada dalla castità e dalla continenza ma espressa, quando necessaria a combattere il demonio, il nemico il male, fosse anche il mare in tempesta o le seduttrici prostitute. Questo è il valore non casuale del benefico simbolo fallico, non malizia, ma benizia! Benedizione e forza d’animo, qui poi è tutta una storia tra maschi, pure i due devoti angeli in paradiso. Questo capivano i devoti davanti questa maestosa visione e insieme veduta del paradiso dei santi e della terra faticosa degli uomini.

Maestro Guerrino Lovato, Altavilla Vicentina, 20 ottobre 2021.

 
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Pubblicato da su 20/10/2021 in Articoli

 

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Il polittico di Ascoli

Carlo Crivelli data al 1473 il meraviglioso polittico di Ascoli e si firma VENETUS, l’origine veneziana, pur dalla lontana provincia, è un marchio di qualità e raffinatezza di una civiltà già quasi mitica. Questo è il più bello rimasto nelle Marche, assieme a quello, frammentario, di Montefiore dell’Aso.

Altri polittici altrettanto stupendi sono stati venduti e smembrati e ora sono protagonisti nei musei a Londra o a Milano. Senza dubbio, il pittore disegnava le congrue e intagliate cornici che accompagnavano l’occhio del devoto, dallo smalto alla pastiglia dorata, dal brillante colore su corpi nervosi e inquieti allo spazio circostante dove il vuoto e il buio sottolineavano il frammento di Paradiso in terra che il convegno di Maria e Gesù è dei Santi dipinti rappresentava. Nel polittico di Ascoli in Sant Emidio è evidente che la cimasa sia un esplicito riferimento al fastigio pentacolare e marmoreo della Basilica di San Marco a Venezia.

L’opera veneziana che corona la facciata della basilica ducale che omaggia il doge con la forma del corno ducale nell arco centrale, fu completata dal doge Steno,che aveva come emblema le stelle qui omnipresenti, nel primo 400. Dunque era già negli occhi dei veneziani come il marchio della gloriosa repubblica ducale. Più tardi, ma non troppo, alla fine del 400, Mauro Coducci, riprenderà il motivo con stilemi rinascimentali per la Scuola grande di San Marco ai Santi Giovanni e Paolo sempre a Venezia. Non so se ci furono legami diretti, oltre che l’ origine sempre rimarcata dei due pittori fratelli, tra la committenza e l’opera, forse tramite i mercanti e i banchieri veneziani che presenziavano le coste adriatiche. Non so nemmeno se questa mia diretta ma incontestabile osservazione sia già stata fatta anche se non mi risulta. L’architettura lignea e dorata che contiene le biografie iconografie distinte di ogni santo, ancora isolato nella propria nicchia, è una chiesa con arcate, portali e coronamento, per gli ascolani è il loro Duomo, per i veneti è solo San Marco. Dopo il restauro si vede meglio l’acqua del Giordano che lambisce, con piccole onde separate, la roccia della Fede dove il Battista, imparruccato e nervoso, indica l’Agnello di Dio e invita al battesimo. Acqua quasi invisibile ma di sostegno all’intera figura come l’acqua lo è dell’intera città lontana.

Maestro Guerrino Lovato, Venezia 10 ottobre 2021.

 
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Pubblicato da su 18/10/2021 in Articoli

 

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Pubblicato da su 13/09/2021 in Articoli, Eventi

 

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Luna rossa a Spello

Dunque… Nelle Crocifissioni alla destra di Cristo vi è il buon ladrone, sopra sempre il Sole, alla Sua sinistra vi è la Luna e sotto il cattivo ladrone. Sole e Luna possono essere bianchi o rossi, o personificati da piangenti maschili e femminili. Appaiono anche nelle Maestà e nei Paradisi.

A Spello, nella cappella dell’ospedale di Sant’Anna, patrona dei parti e delle malattie femminili, la Luna è rossa, sia nella Crocifissione che al centro della volta, a sottolineare l’importanza dell’astro notturno nei cicli femminili e nel tempo propizio dei parti.

Le aureole, in parte cadute erano dorate o bianche. La linea verticale tra la Luna al centro, rarissima posizione dominante e San Giovanni figlio diletto adottivo e sant’Anna Madre della Madre divina Maria che teneva il piccolo figlio di Dio, Gesù benedicente, è una linea verticale dall’alto al basso e viceversa, sul tema della prole, della figliolanza e della maternità la cui patrona assoluta era sant’Anna… e la sua luna rossa.

Maestro Guerrino Lovato, 6 agosto 2021

 
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Pubblicato da su 10/08/2021 in Articoli

 

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