La pala del Garofalo con il commiato di San Giovannino.
di Guerrino Lovato

Nella chiesa bolognese del Santissimo Salvatore si conserva, da antica committenza Mazzoni e poi Facci, la straordinaria pala di Benvenuto Tisi chiamato Garofalo, firmata e datata 1542, purtroppo oggi gravemente danneggiata dai tarli.
E’ un’opera famosa e celebrata dalla letteratura artistica come una classica composizione dove le invenzioni di Raffaello vengono adattate ad una sacra conversazione dall’equilibrato genio del Garofalo, espresso nel perfetto equilibrio tra la forma e il colore come tra la luce e l’ombra, il tutto contenuto da un fermo disegno, una perfetta anatomia, sontuosi drappeggi e gesti equilibrati.
Nel paesaggio del fondo meteorologicamente tizianesco, vi è il battesimo di Cristo nel Giordano ad opera del Battista. In primo piano vediamo un consesso della sacra parentela riunita a salutare il congedo del giovanetto Giovanni dai parenti, dal padre Zaccaria, regale e benedicente, e dalla dolente madre Elisabetta, che avendolo avuto in tarda età, ne accusa la precoce perdita asciugando le lacrime da un volto ancora più invecchiato.
Zaccaria, anziano sacerdote del tempio, è seduto su un ampio e marmoreo trono dove due sfingi sapienti figurano nei braccioli poggianti una su di un libro e l’altra sulla testa di un agnello come diretti simboli ebraici; al di sotto, quasi come in un sarcofago, vi è un rilievo antico; il tutto è carico di archeologia classica come il probabile tempio ebraico dove avviene il commiato.
Quattro grandi colonne ioniche sorreggono una marmorea struttura dove in alto, in un angolo, siede, scolpito, un nudo angioletto seduto, assieme ad un gemello più lontano. Una nicchia vuota e un arco in bugnato alla romana, prima di Giulio Romano e del Serlio, apre su di una terrazza balaustrata che guarda verso la scena del Giordano.
I putti, gli eroti o gli angeli seduti sui balconi o al di sotto di questi a sostenerli, sono una presenza singolare e frequente nei palazzi ferraresi. L’adolescente e ricciuto Giovanni, quasi inginocchiato su uno sgabello in legno, parte per il deserto scalzo, vestito di due povere vesti, non ancora di pelle caprina, ma già annodate alla spalla e al fianco. Egli è coperto da un rosso manto mosso dall’aria mentre ferma è la sua decisione, invocante la benedizione del padre Zaccaria, con le braccia conserte al petto, nel significato di speranza e fede.
Il gesto del vecchio Zaccaria è benedicente e di indicazione di quanto vediamo sullo sfondo, ossia il destino del Battista e il suo rosso manto che allude al sanguinoso martirio. Le altre figure sono tutte in piedi. Il maturo barbuto è san Giuseppe e non Gioacchino, ha la lunga barba e i capelli biondo rossicci, e di colore arancio è la sua veste da robusto artigiano ebreo. Egli, con la mano sinistra, si appoggia ad un bastone di legno allusivo al mestiere e al destino di errante, non dunque Gioacchino come sempre si è scritto, per quanto san Giuseppe sia spesso raffigurato più anziano.
Sant’Anna ci guarda da anziana nonna avvolta in bianche stoffe, meno magra e dunque più giovane di santa Elisabetta. Accanto a lei vi è la figlia Maria, velata da vergine ma madre recente nei floridi seni, con le braccia alla Gioconda; la Madonna Maria guarda attenta a dove è finito il piccolo Gesù che, nudo, si nasconde guardandoci da dietro la gialla veste dell’inconsolabile zia Elisabetta; Gesù è cugino di Giovanni anche se qui la differenza di età non segue i tradizionali 6 mesi, ma il tempo di una matura adolescenza. L’identificazione di Gesù in questa straordinaria opera è una novità non solo all’interno di questo meraviglioso dipinto, ma anche nelle iconografie stesse della sua puerizia. Non è lui il coprotagonista, come dovrebbe essere all’interno della sacra parentela, ma qui è un vispo e disubbidiente bimbetto che vuole andare dove vuole mentre i grandi sono immersi nel mesto addio al troppo giovane eremita Giovanni. Non conosco altre opere dove Gesù bambino sia così marginalmente e nascostamente rappresentato: è pur sempre lui il figlio di Dio, ed è questo il motivo per cui in questa pala non era mai stato finora notato.
E’ quasi un Gesù come rappresentato dai vari vangeli apocrifi, con i noti dispetti e miracoli vendicativi lì raccontati, come anche questa scena del congedo di Giovanni che proviene da detti testi e non dai vangeli canonici. Per la storia dell’educazione dei fanciulli nel Rinascimento è dunque interessante notare come la Madre di un Dio ancora bambino, si debba sempre occupare di lui senza perderlo di vista. E’ raro che in una pala d’altare la Madonna guardi lateralmente se non per indicarci, come in questo caso, dove stia l’assente Gesù, ancora monello, e dunque da educare nella crescita come fece Elisabetta col suo virtuoso e fedele Giovanni, già prematuramente pronto al deserto e alla solitudine mistica. Giovanni è il modello per Gesù e nei Vangeli lo si indica sempre come l’esempio più sacro. Anche per il piccolo Gesù, dunque, vi è stato un tempo spensierato e giocoso dove i vizi e le virtu’ ancora si confondono e l’indottrinamento è ancora di là da venire. Sant’Anna, che educò la Madonna, ci guarda come una nonna spazientita dalla troppa libertà concessa dalla madre Maria al piccolo Gesù, che girando la testa verso il basso le fa capire che comunque è ancora vicino, almeno nell’inquadratura dell’opera!
Il nobiluomo Mazzoni, abbigliato alla moda del primo 500 bolognese (chissà se si chiamava Gioacchino o se un suo avo avesse avuto questo nome, cosa che giustificherebbe l’assenza del marito di sant’Anna, sempre presente nella sacra parentela tradizionale), è posto sopra l’irrequieto Gesù, come a dirci che anche lui lo sorveglia e lo protegge, vista la di lui tenera e vivace età.
Maestro Guerrino Lovato, 3 maggio 2022



