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Sabato 17 Dicembre 2022, Palazzo Chiericati ore 17.00: la “restituzione” dell’apparato scultoreo del nuovo teatro La Fenice di venezia del 2012
Lunedì 14 novembre, alle ore 18,00 PRESENTIAMO: SCULTURA VENEZIANA, GLI DEI DIMENTICATI IN PIAZZA SAN MARCO
Lunedì 14 novembre, alle ore 18,00, nello SPAZIO EVENTI della Libreria La Toletta, Dorsoduro 1134,PRESENTIAMO con immagini questo libr : SCULTURA VENEZIANA, GLI DEI DIMENTICATI IN PIAZZA SAN MARCO. Presente l’editore Giovanni Pelizzato e gli autori, Guerrino Lovato e Pino Usicco. Introduce la Storica dell’arte e Guida turistica Sara Cossiga.





LA FORMA DEL MISTERO

Il Tabernacolo del Morlaiter nella chiesa di San Giovanni evangelista a Venezia. La tela sul fondo con San Giovanni giovane che scrive in un rotulo il futuro Vangelo e l’Apocalisse , visitato del Padre eterno e in presenza dell’Annunziata è del cav. Pietro Liberi, maestro padovano del barocco Veneto. Il tabernacolo di Candido marmo di Carrara è di un maestro della scultura, il Morlaiter e mostra ”nascondendola” una verità religiosa complessa. I 3 putti alati, dunque angeli, e il cherubino hanno corpi e volti di teneri bimbi che lo scultore rende con affettuosa adesione, ognuno con una mimica diversa: stupore, gioia, estasi e meraviglia. Se i due angeli ai lati della portina con la Deposizione ostentano l’uva e il grano come simbolo eucaristici del pane e del vino quello in alto scopre, non completamente il velo che coprirebbe tutto il tabernacolo che posto sulle nubi è sorvegliato dal cherubino in basso che con lo sguardo ne indica la direzione celeste. L ‘angelo in alto, col volto quasi coperto ci mostra come l’Eucarestia sia un atto di Fede al quale si crede senza vedere e insieme che la Fede nasconde dei misteri, che è bene siano in parte oscuri. È lo stesso gesto del fiume Nilo in piazza Navona del Bernini, che si nasconde il volto in quanto le sue fonti erano ignote!
Maestro Guerrino Lovato, 19 agosto 2022





Il serpente non si mangia la coda del diavolo
L’allegoria, non allegria, magari!

Venezia, Campo San Giacometto. Il Gobbo di Rialto scolpito in pietra d’Istria da Pietro da Salò nel 1541. I veneziani che furono pure i possessori di Atene, conoscevano la statua di Sileno perché da sempre presente in situ e ne hanno riproposto il modello per la nota pietra dei bandi e delle punizioni eseguite dalla Nuova Repubblica Veneziana a imitazione e orgoglio della prima Repubblica Ateniese di 2000 anni prima.

Questa iconografia del telamone inginocchiato ha una sua peculiarità anatomica e funzionale, che non è condivisa dai telamoni romanici o gotici. Ma solo uno scultore e prete del 900, Fra Claudio Granzotto di Chiampo la utilizzò per il suo capolavoro, l’acquasantiera per Santa Lucia di Piave del 1928 in marmo di Carrara.
Qui il Sileno classico, passando dal virile Atlante veneziano di Rialto, diventa un indomabile e urlante demonio, pudicamente coperto da una pelle di serpente. Dalla pelle della pantera cara a Dioniso Bacco pagano, si arriva al serpente tentatore diabolico e vinto dell’olimpo cristiano. Al di sopra l’allegoria della Fede, in bronzo indicante l’acqua benedetta che sta in una colossale e virginale conchiglia sostenuta dalle notturne ali del nerboruto e satiresco maligno. La Fede cristiana nasce dall’Acqua del Battesimo come Venere dalla sua conchiglia marina: l’una, casta e vestita guarda il cielo, l’altra nuda guarda gli uomini!
Maestro Guerrino Lovato.
Il patriarca Noè medita sul lavoro degli uomini
Il sottarco dei mestieri, a San Marco, capolavoro della scultura romanica a Venezia.
Il patriarca Noè medita sul lavoro degli uomini. La famiglia di Noè, sotto la sua direzione e volontà voluta da Dio, prima lavora alla costruzione dell’Arca della Salvezza, simbolo del popolo eletto giusto e laborioso, e qui a Venezia, alla costruzione della città stessa, salvata e protetta dalle acque. Noè in palazzo Ducale e in San Marco è la figura vetero testamentaria più riprodotta e omaggiata, anche nel colossale formato della scultura dell’ebbrezza. Poi nel nartece di San Marco ha una delle più ampie storie mosaicate dove il suo possente nudo viene rappresentato per ben due volte, citando Ercole in riposo, stanco dalle fatiche e ubriaco, splendida figura prestata dalla cultura classica. Ancora nell’arco superiore esterno viene scolpita la scandalosa ma eloquente ebbrezza. I vecchi, i saggi, i padri non possono essere derisi nelle loro puerili debolezze, pena la condanna alla servitù. Riposa dalle fatiche del costruire con ingegno, metodo e mestiere, come anche l’invenzione dell’agricoltura. Noè che morirà a 950 anni è seduto nel trono intagliato che gli è dovuto, si appoggia e trattiene le utili stampelle. Il copricapo a zucca orientale lo colloca tra i primi profeti, ha lunghi capelli e barba ricciuta, una ampia veste e manto a larghe pieghe che non nasconde il nutrito ventre di Patriarca matriarcale. Medita col dito della mano destra nella bocca a segno del silenzio come stupore e rispetto, nella posa del meditativo e creativo malinconico. Sopra la sua testa si apre l’arcobaleno della conciliazione tramite l’attività umana, il lavoro come nobile percorso della vita che rende agli uomini nutrimento e libertà repubblicana, tutto sotto l’agnello di Dio, vertice e bussola di ogni attività. Per Venezia, l’Arca salvifica era sia la città sulle acque che la chiesa stessa, di San Marco, quintessenza del sapere dello Stato Ducale. Ecco perché i mestieri rappresentati con tanta vivacità e aneddotica escludono le attività suntuarie, del lusso e del piacere, che Venezia certamente produceva, ma come nella Prima repubblica romana, i valori comuni erano virtuosi se utili alle indispensabili attività, dalla pesca alla cantieristica, dalla muratura alla nutrizione. Noè osserva, esausto ma ancora creativo, il frutto della sua gente laboriosa e associativa. È il Doge vecchio e giudice, e la controfigura dell’artista anziano che come Dio si compiace della sua creazione. Per gli antichi l’Arte era tutto ciò.
Maestro Guerrino Lovato.
Annunciazione di ringhiera
Questa feriale Annunciazione degli anni Trenta, anonima finora, è ambientata in una casa di ringhiera con l’intonaco già sbrecciato. Maria cucisce e umilmente abbassa la testa, ma saluta con la destra, ha i capelli alla sobria moda del periodo, in un lungo vestito azzurro operaio, si era messa sulla terrazza al primo sole del 25 marzo del 1933. Gabriele, quasi una vittoria dell’epoca fascista scolpita da Martini, procede scalzo con un puro, profumato giglio. Le sottili porte e finestre indicano che lui non è passato di là, ma arriva dalle scale… condominiali del cielo. Due pigre piante sempreverdi e in lenta crescita stanno in primo piano. Ma sul davanzale della verticale finestra, chiusa ma con le ante aperte, è posto al pallido sole un panno giallo di luce divina e un giacinto bianco in un vaso, sopra un piatto chiaro a trattenere l’acqua. Bianca è la tenda scostata, il panno tra le mani di Maria, il giacinto e tutto l’arcangelo e il suo lungo fiore. Il bianco è la Fede e la Castità. Il pittore ha reso il modesto e popolare evento divino in un pedissequo tessuto pittorico dove elenca ogni barra di ferro, ogni travetto e ogni dentello del tetto. La macchia sul muro, tra Gabriele e Maria è come la terra che nutre il fiore, come il grembo che partorirà.
Il dipinto, con la sua cornice, l’ho comprato a Pissignano dall’amico Cristian, per 60 euro. Non è in vendita ma in veduta… in tempi di Covid.
Maestro Guerrino Lovato
La disumanizzazione dell’umanesimo
L’Arte e la sua storia sono frutto del pensiero umanistico che dal 1400 si abbassa a rilevare il lavoro dell’artista, ancora artigiano meccanico all’epoca, non ARTISTA come oggi, dopo il Rinascimento e il Romanticismo. La scienza nuova che dall’illuminismo distingue e cerca l’uomo artista e le sue opere e ne crea teorie, metodi e sistemi che interessano i collezionisti, gli amatori, gli archeologi e i biografi delle vite degli Artisti, che, diventate dopo il Vasari materia di interesse metafisico e spirituale, sono ora come le vite dei Santi. Le Accademie di Belle Arti sono il luogo della ricerca storica ma soprattutto della produzione dell’Arte. A metà del ‘900 si sono scisse le due facce dell’Umanesimo artistico: da una parte la produzione e la creazione di nuova arte e dall’altra, tramite le Lettere con Filologia, studi classici, Paleografie e sistemi di scrittura, di divulgazione e di codici per addetti, la ricerca dentro L’Università delle Lettere si è isolata nella propria quasi sterile autoreferenzialità. Il giovane studente al quale brillano gli occhi di fronte a Tiziano, El Greco o Tiepolo, perché mosso dal desiderio di capire e carpire tanta bellezza, si infila nel tunnel asettico e metodista degli studi dell’arte. Alla fine, dopo il lungo e continuato e compromissorio rapporto con docenti, assistenti, ricercatori, dottorati e pubblicazioni e presenzialismi, quasi sempre gratuiti, arriva finalmente a 50 anni ad avere il suo ruolo e il suo titolo. Titolo e pulpito che innanzi tutto gli servono per sottomettere, a livello di nonnismo da caserma, i suoi simili che entrano entusiasti nel tunnel degli Studi Umanistici dell’Arte -che è la più UMANA tra le attività dell’uomo- per uscirne come lui stesso è arrivato, demotivato, senza entusiasmo e solo a caccia di salire ancora un po’ di più nel potere all’interno delle Università stesse, a qualsiasi costo! Lo Stato italiano finanzia tutto questo e continua a creare filtri sempre più stretti per scremare la grande massa che produce questa branca del Sapere Umanistico. Cosa rimanga di Umano nel professionista statale della materia dell’arte è sotto gli occhi di tutti, o sei dentro o sei fuori, o sai porre gli accenti apicali e i corsivi nippotirolesi o non sarai mai considerato!
Il mio caso non vuole essere esemplare ma un esempio sì. Ho scoperto dal buio del MIBACT a Bettona un importante Tabernacolo di El Greco, esposto poi in una mostra curata da Puppi, con la mia scheda, e sul quale è stato poi organizzato un Convegno internazionale, sempre a Bettona, con 22 studiosi. Puppi, per dichiarata gelosia, mi ha escluso, non avevo i Titoli e i Ruoli necessari, per quanto sia Maestro d’arte, diplomato ottimamente all’Accademia di Belle Arti di Venezia, e da sempre studioso con, al proprio attivo conferenze, pubblicazioni e riconoscimenti. Ora sono usciti gli Atti del Convegno, nei ringraziamenti, nelle lunghe e prolisse frasi di riconoscimento di e merito da parte di tutti, non vengo mai citato! Lo sono solo in alcune grigie noticine all’esterno dei saggi dialcuni convenuti. Al Convegno, non potendo esserci, Puppi era pure appena morto, viene distribuito il mio contributo -il saggio su di un argomento laterale lo avevo già consegnato con gli accenti apicali corretti- contributo contenuto in un libro di 80 pagine che tutti hanno avuto, poi usato nei due anni di preparazione degli Atti, mai citato dagli autori, ma da essi richiesto. È possibile in una democrazia, che si vorrebbe anche culturale, derivante da quell’Umanesimo di cui parlavamo, che succeda tutto questo? Con il finanziamento del Ministero della Cultura pubblico? Il mancato riconoscimento di una scoperta, e ne sono già seguite altre sempre relative a El Greco e i suoi tabernacoli, che io da solo ho reso pubblica e difesa con evidenti ottimi risultati?
Un Comitato EL GRECO di studiosi e sensibili all’Arte, formatosi già nel 2015 a Bettona, sta cercando Giustizia, io pure, anche UMANA se possibile!
Maestro Guerrino Lovato
Il Giuda Taddeo di Pietro della Vecchia, sec. XVII,Venezia
L’impresario turco di Macedonia Sukret Mehemed che lavora a Venezia, ha salvato una vecchia tela sporca e rotta da un deposito di materiali da smaltire. Sapeva che sapevo di cose vecchie dell’arte e mi ha portato questo potente ritratto da restaurare. Francesco Grimaldi, restauratore professionista lo ha pulito, reintelato, stuccato e leggermente integrato. È un mezzo busto di Santo, che se non fosse per l’aureola e il noto attributo del bastone col quale fu ucciso dagli “infedeli”, potrebbe sembrare un Ercole con la clava o Giove in persona!
La tela, dipinta a olio. misura centimetri 50 per 70 e si capisce che fu tagliata grossolanamente ai bordi, conserva una vecchia tela della stessa misura sul retro, ma staccata. Le serie dei 12 Apostoli interi o a mezzo busto hanno origini rinascimentali, specialmente in incisioni nordiche, come xilografie, incisioni e dipinti. Ma è nel primo Seicento che si forma una vera e propria categoria di opere allineate nel formato con la serie completa degli Apostoli, riconoscibili tutti da un attributo riconducibile al loro martirio, eccezione per San Tommaso che spesso esibisce solo il dito indice col quale volle toccare per verificare la ferita di Cristo, e venne per questo rimproverato.
El Greco, Rubens, Van Dick e più tardi Piazzetta, Tiepolo e altri pittori, crearono serie complete dei 12 Apostoli dipinti su tela che spesso vennero incise ed ebbero grande fortuna.
Pietro della Vecchia nasce a Venezia nel 1603 e vi muore l’8 settembre 1678. Fu un pittore molto prolifico e davvero barocca, come il periodo che visse, fu la sua produzione. Grande pittore e inventore ma specialmente imitatore e riproduttore di opere altrui, specialmente Giorgione e Tiziano, dei quali non copia per riprodurre ma prosegue la loro produzione continuando, un secolo dopo, a inventare opere nei loro stili, confondendo i mercanti e i collezionisti a tutt’oggi. Questo atteggiamento di negare temporalità all’opera, liberandola dalla datazione e dallo stile personalissimo dei geni del Rinascimento, rimette in circuito l’eterno presente dell’Arte, che è stupore e meraviglia, che è vera e falsa, che è materia e pigmenti che fanno sognare gli uomini, ingannando i loro occhi. Disegnò e colorò i cartoni per i mosaici di San Marco realizzati sia in facciata che all’interno della Basilica Ducale, cartoni ora conservati a sant’Alvise, innumerevoli pale d’altare, ritratti e soggetti curiosi e stravaganti. Dipinse indovini, streghe, maghi e chiromanti, lanzichenecchi e soldataglie fuori epoca e moda, “autoritratti” di Giorgione e Tiziano e colossali testoni di mostruosi individui da incubi notturni. Il Giuda Taddeo di Sukret Mehemed, attribuzione che mi sento di assegnargli per i soli caratteri stilistici inconfondibili, dipinto intorno il 1650, purtroppo non abbiamo né firma né data. È un potente e rassicurante ritratto di un uomo con ampia capigliatura scura che gli fa corona e che poi si scioglie sulle spalle, ricordando una moda ebraica vista chissà dove. Ma la barba è grigia, morirà vecchio, ha grandi occhi sinceri e diretti allo spettatore, è ammantato di giallo, colore dell’ebreo, e il manto è tagliato nei bordi a piccoli e raffinati lobi. La mano, con dita pienotte tipiche del Della Vecchia, quasi una firma, esce da una manica blu e gialla e regge il nodoso bastone, simbolo del suo martirio. Una lunare aureola crea una luce che sembra riverberarsi nelle pieghe del manto ma specialmente sul viso, illuminando gli occhi, le rughe della fronte il naso e le labbra umide; il Santo è già nel Paradiso dunque e mostra vittorioso lo strumento che non lo uccise.
Venezia,18 Febbraio 2021
Maestro Guerrino Lovato