San Marco, pozzo del nartece, mosaici del Zuccato su cartoni di Salviati, seconda metà del Cinquecento. Rara immagine del Profeta Noè, così segnato nel cartiglio con la P. Interessante il gesto che ci rivolge, a indicare il senso della vista, che in senso biblico era violare una persona indifesa, offesa che aveva ricevuto dal figlio Cam, poi maledetto, mentre dormiva nudo e ubriaco sotto la vigna. Interessante, che cercando un elemento che lo caratterizzi, Noè che di solito tiene in mano un modellino dell’Arca, qui lui esibisca il gesto del VEDERE che non COMMISE! Ma tutti capivano che alludeva al famoso scherno di Cam. Tra San Marco e il Ducale presenzia ben cinque volte, e gode di un’ampia illustrazione delle sue gesta, cinque volte Noè è raccontato, compreso il ruolo del vecchio artefice nell’arco dei mestieri, letto altresì come l’architetto infelice. Così lo rappresenta Tintoretto nel Paradiso, con l’Arca in mano. Rimane che il VEDERE così sottolineato implica il racconto biblico, l’opera d’arte in mosaico e la nostra complice presenza.
Il sottarco dei mestieri, a San Marco, capolavoro della scultura romanica a Venezia.
Il patriarca Noè medita sul lavoro degli uomini. La famiglia di Noè, sotto la sua direzione e volontà voluta da Dio, prima lavora alla costruzione dell’Arca della Salvezza, simbolo del popolo eletto giusto e laborioso, e qui a Venezia, alla costruzione della città stessa, salvata e protetta dalle acque. Noè in palazzo Ducale e in San Marco è la figura vetero testamentaria più riprodotta e omaggiata, anche nel colossale formato della scultura dell’ebbrezza. Poi nel nartece di San Marco ha una delle più ampie storie mosaicate dove il suo possente nudo viene rappresentato per ben due volte, citando Ercole in riposo, stanco dalle fatiche e ubriaco, splendida figura prestata dalla cultura classica. Ancora nell’arco superiore esterno viene scolpita la scandalosa ma eloquente ebbrezza. I vecchi, i saggi, i padri non possono essere derisi nelle loro puerili debolezze, pena la condanna alla servitù. Riposa dalle fatiche del costruire con ingegno, metodo e mestiere, come anche l’invenzione dell’agricoltura. Noè che morirà a 950 anni è seduto nel trono intagliato che gli è dovuto, si appoggia e trattiene le utili stampelle. Il copricapo a zucca orientale lo colloca tra i primi profeti, ha lunghi capelli e barba ricciuta, una ampia veste e manto a larghe pieghe che non nasconde il nutrito ventre di Patriarca matriarcale. Medita col dito della mano destra nella bocca a segno del silenzio come stupore e rispetto, nella posa del meditativo e creativo malinconico. Sopra la sua testa si apre l’arcobaleno della conciliazione tramite l’attività umana, il lavoro come nobile percorso della vita che rende agli uomini nutrimento e libertà repubblicana, tutto sotto l’agnello di Dio, vertice e bussola di ogni attività. Per Venezia, l’Arca salvifica era sia la città sulle acque che la chiesa stessa, di San Marco, quintessenza del sapere dello Stato Ducale. Ecco perché i mestieri rappresentati con tanta vivacità e aneddotica escludono le attività suntuarie, del lusso e del piacere, che Venezia certamente produceva, ma come nella Prima repubblica romana, i valori comuni erano virtuosi se utili alle indispensabili attività, dalla pesca alla cantieristica, dalla muratura alla nutrizione. Noè osserva, esausto ma ancora creativo, il frutto della sua gente laboriosa e associativa. È il Doge vecchio e giudice, e la controfigura dell’artista anziano che come Dio si compiace della sua creazione. Per gli antichi l’Arte era tutto ciò.