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Approfondimento a “La levatrice incredula nella storia della natività”

Da una lettera di Michele Di Monte
Note aggiuntive al libro di Guerrino Lovato “La Levatrice incredula nella storia della natività“.

Quanto alla complessità, la figura della levatrice più o meno incredula (uso di proposito questa formula) si offre a una lettura stratificata, così come stratificate e sfaccettate sono le funzioni che essa assume e può assumere nelle diverse interpretazioni figurative. Si tratta, in realtà, di un personaggio ambivalente, sotto più di un rispetto. Tanto per cominciare, infatti, e da un punto di vista filologico e “genetico”, proprio il dettaglio del bagno del Cristo appena nato ad opera delle due ancelle, per quanto di contorno, è il più evidente trait d’union con i precedenti iconografici classici del tema della Natività, vale a dire con la scena della nascita e dell’infanzia di Dioniso, dove ricorrono appunto, talvolta con notevoli coincidenze, le figure delle ancelle intente ad accudire il neonato (vedi, qui di seguito, figure 1,2,3).

1. Infanzia di Dioniso, Roma, Musei Capitolini

1. Infanzia di Dioniso, Roma, Musei Capitolini

2. Nascita di Dioniso, III s., Roma, Museo Ostiense

2. Nascita di Dioniso, III s., Roma, Museo Ostiense

3. Nascita di Dioniso, II s., Perge, Asia Minore

3. Nascita di Dioniso, II s., Perge, Asia Minore

Non stupisce che una simile configurazione compaia a Roma, già nei primi secoli del Cristianesimo, nelle catacombe di San Valentino sulla via Flaminia (non di S. Sebastiano, in realtà, come indicato per svista nel tuo libro), anche se oggi possiamo giudicare solo dalle incisioni della Roma sotterranea del Bosio (1632), che peraltro aveva scambiato la scena del bagno per la raffigurazione di un martirio (donde le fattezze maschili di Salomè che tu stesso hai notato: fig. 4)

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4. A. Bosio, Roma sotterranea, 1632

Persino il titulus con cui una delle due donne viene non di rado contrassegnata nelle immagini bizantine, in particolare in Cappadocia, Hmea (o H MEA, dal greco H MAIA, cioè appunto “levatrice”), potrebbe derivare da un prototipo antico, il celebre Velo di Antinoë, oggi al Louvre, che raffigura appunto il frangente del bagno di Dioniso, rappresentato in braccio alla levatrice Mea. In Occidente, il titulus diventa un vero e proprio nome, come succede a S. Maria foris portas di Castelseprio (che nel tuo libro, non saprei perché, compare come S. Maria “Antigua”), anche grazie alla traslitterazione latina. Nell’episodio della natività, l’ancella incredula è infatti identificata come Emea – lo si vede meglio nelle vecchie foto (fig. 5.) – la quale ricompare anche più in basso, con identica acconciatura, nella scena del bagno, esattamente come nelle catacombe di S. Valentino (e dunque non c’è bisogno di postulare tre ancelle invece delle due canoniche, come suggerisci a p. 28). Tra l’altro, qui sembra esserci stata anche una sorta di inversione, dal momento che, di norma, negli affreschi rupestri orientali – a Qeledjar, Soghanle, Qaranleq, Tchareqle, Qarabach – la seconda donna è appunto qualificata come CΑΛΟΜΕ o CΑΛΟΜΙ.

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5. La levatrice Emea, S. Maria foris portas, Castelseprio, particolare

La Salome descritta dagli Apocrifi poteva così trovare un supporto o una veste visiva bell’e pronti, anche se dal punto di vista testuale l’identità della levatrice incredula è piuttosto complessa, in particolare nella tradizione orientale (e copta, soprattutto) in cui si forma pure il Protovangelo di Giacomo, dove Salome, per omonimia, viene talvolta identificata nella figlia di Giuseppe, sorella di Gesù, e talaltra nella Maria Salome discepola di Cristo, ulteriormente associabile alla Madre di Giacomo Minore, alla madre dei figli di Zebedeo, o alla sorella di Maria, variamente citate nei Vangeli. Come che sia, anche sul piano figurativo la declinazione del suo ruolo è variabile, così come è variabile la scelta dei momenti e delle connotazioni implicate: da una semplice presenza funzionale e “neutrale” – frequente in area orientale post-iconoclasta – e spesso con inflessioni realistiche (come nelle scene in cui controlla la temperatura dell’acqua del bagnetto) al più esplicito riferimento all’episodio della mano paralizzata e poi guarita, che può ulteriormente articolarsi in una sorta di sequenza micro-narrativa o includere momenti successivi e distinti, come la predicazione del miracolo.

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6. Avorio bizantino, VI s., Londra, British Museum

Un esempio del primo caso, piuttosto precoce, si vede nella placchetta del British Museum (fig. 6), dove, nel registro inferiore, Salome, dopo aver saggiato la verginità d Maria (a sinistra) e aver presumibilmente lamentato la punizione (come nella scena di Castelseprio e della Cattedra di Massimiano), corre, a destra, a toccare la greppia, reggendosi la mano con il braccio sano (il particolare si vede ancora meglio in una pisside d’avorio, oggi a Berlino, più o meno coeva, che riprende il motivo: fig. 7).

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7. Pisside d’avorio, VI-VII s., da Minden, Berlino, Staatlichen Museen

Quanto alle amplificazioni narrative, l’esempio forse più indicativo sono i disegni trecenteschi del codice Ambrosiano, MS L. 58 sup. Ma c’è un altro aspetto, sebbene meno noto, che riguarda più direttamente l’ambivalenza della figura che stiamo trattando. Infatti, in varie illustrazioni medievali, e più precisamente tardo-medievali, il ruolo che dovrebbe essere di Salome viene di fatto assunto da un altro personaggio, la cui identità non è sempre facilmente accertabile e distinguibile, ma che pure presenta, in qualche caso, peculiarità specifiche. Si tratta di quella Anastasia che anche tu citi di sfuggita, ma che va in realtà distinta dalla Salome della tradizione più antica. Nell’agiografia cristiana c’è più d’una santa con questo nome, e talvolta l’Anastasia che ci interessa viene identificata con la martire di Sirmium (martirizzata il 25 dicembre – nota bene! – del 304). In sostanza, tuttavia, il suo personaggio è noto soprattutto grazie alle costruzioni poetico-leggendarie della letteratura cortese e religiosa medievale, soprattutto francese. La ritroviamo infatti in varie opere, come il Couronnement de Saint-Louis; Le Roman de la Violette; Huon de Bordeaux; Aliscans; la Chronique de Jean d’Outremeuse; Florence de Rom; Le Chevalier au Cygne; Le Romanz de saint Fanuel; l’Esposalizi de nostra Dona; l’Histoire de Marie et de Jésus, dove compare con denominazioni leggermente variabili: Anastase, Anastaise, Anastasie, ma anche Honestaise o Onestasse, ma pur sempre con lo stesso ruolo di coadiutrice e assistente al parto della Vergine. In questo senso, Anastasia si definisce come una sorta di gemella o di alter ego positiva di Salome, con cui condivide in effetti non solo il compito di levatrice, ma anche il conseguente miracolo della guarigione delle mani. Sennonché Anastasia non viene sanata dopo essere stata prima punita a causa della sua incredulità, perché – almeno secondo una versione della storia – le mani non le ha mai avute, essendo nata mutila, e le riacquista miracolosamente proprio per aver assistito la Vergine, senza incertezze, e aver preso in braccio il bambino. Il nocciolo della vicenda è evidentemente già presente nell’Evangelium Infantiae Salvatoris Arabicum, che hai giustamente citato anche nel tuo libro, dove appunto si tratta di una vecchia che si dichiara “da lungo tempo” già paralitica e che appunto spera nel miracolo, e quindi non subisce la severa punizione che colpisce l’incredula. La figura di Anastasia aggrega perciò elementi di natura e provenienza diversa (esistono ulteriori coincidenze con altri testi medievali, per esempio La Manekine di Philippe de Remi), ma in ogni caso inverte la connotazione negativa associata tipicamente a Salome.

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8. Libro d’ore di Rennes, 1405, Philadelphia

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9. Heures de Jean de Montauban, 1430-1440, Rennes

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10. Heures a l’usage de Paris, Carpetntras

Le differenze, sia pure spesso a fatica, si possono cogliere anche nelle immagini. Non per caso capita di trovare figurazioni in cui la levatrice appare con il nimbo: non è un abuso arbitrario del pittore, ma la scelta deliberata di rappresentare Sant’Anastasia. Capita, come è prevedibile, soprattutto in area francese, meno raramente di quanto si potrebbe supporre, spesso nell’illustrazione libraria (vedi fig 9,8,10), ma non solo, e credo che anche nel capitello di Saint Vincent che tu illustri a p. 43 si tratti, in effetti, proprio di Sant’Anastasia. Ma ad ogni modo alcune immagini, in particolare, sono eloquenti di là da ogni dubbio. La più significativa compare nel Libro d’Ore parigino del Getty Museum di Los Angeles, datato 1420 e illuminato da un certo maestro Spitz, non estraneo alla cerchia dei fratelli Limbourg. Nella scena della natività (fig. 11), subito alle spalle della Vergine vediamo la santa ostetrica Anastasia, con tanto di aureola dorata, composta in devota venerazione ma ancora senza mani, che però stanno prontamente arrivando “al volo”, portate da un cherubino.

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11. Libro d’ore, 1420, Los Angeles, J. P. Getty Museum. Particolare

A dire il vero, non è molto chiaro come una donna senza mani possa aver aiutato la Vergine a partorire (anche se forse non c’era molto lavoro da fare) o come possa aver preso in braccio il neonato senza farlo cadere. Misteri provvidenziali. Alcuni artisti, comunque, il problema se lo sono posto certamente: ad esempio, il miniatore della famosa Bibbia inglese di Holkham (1330 ca), deve aver pensato, con un certo senso pragmatico, che Anastasia per svolgere le sue pie mansioni si sarà pure servita di qualche protesi e coerentemente, a scanso di equivoci, nella scena del presepe (fig. 12), ha raffigurato la levatrice “credula” – chiamiamola così – con le sue nuove mani, ma con la vecchia mano artificiale legata al polso, a titolo di ex-voto e a futura memoria del lettore.

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12. Bibbia di Holkham, 1327-1335, Londra, British Library

Per quel che ne so, è un hapax, però si potrebbe anche considerare un supplemento di indagine. Per fare un esempio, nella tavola dei Capitolini, illustrata nel tuo libro a p. 51, l’ancella che si accinge a prendere in braccio il bambino sembra avere dei segni rossi sui polsi, che invece non si vedono affatto nell’altra donna intenta a temperare l’acqua: allusione o allucinazione? Non saprei, ma visto che i Capitolini non sono lontani, quando mi capita farò un salto a dare un’occhiata da vicino. A questo punto credo di essermi dilungato anche troppo, ma spero che queste note a margine possano essere spunto per ulteriori riflessioni e commenti o, eventualmente, approfondimenti.

Michele Di Monte

 
2 commenti

Pubblicato da su 27/06/2013 in Articoli, La levatrice incredula

 

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