Genova – Potrebbe essere la ri-scoperta dell’anno. Almeno per quanto riguarda il mondo dell’arte . Una colossale testa di Profeta o apostolo, probabile opera dello scultore trecentesco Marco Romano, si trova non valorizzata e poco conosciuta nel secondo cortile, quello «palladiano», delle restaurate e ancora vuote sale dell’ex Accademia delle Belle Arti di Venezia, da poco riaperte ai visitatori. Si tratta di una rara scultura colossale del primo periodo gotico, ovvero un capolavoro protoneoclassico. Lo sostiene lo scultore e storico delle immagini veneziano Guerrino Lovato, che rivela la scoperta da lui fatta visitando i rinnovati spazi espositivi, aperti il 18 dicembre scorso. Si tratta di un busto in marmo greco alto 65 centimetri, con venature grigie, tipico della scultura medievale adriatica, posizionato nel cortile da almeno un secolo fra tante sculture provenienti da chiese e conventi soppressi in epoca napoleonica.
È ancorata con una barra d’acciaio su una balaustra che domina il cortile. Romano, scultore romano senese, a Venezia firma il suo capolavoro nella chiesa di San Simeon Grando, nel sestiere di Santa Croce, datata 1318.
Recentemente gli è stata attribuita l’Annunciazione aSan Marco a Venezia, altre sue sculture sono Duomo di Cremona, al Duomo di Siena e il monumento al Porrina nella collegiata a Casole D’Elsa (Siena), dove gli venne dedicata tre anni fa una mostra.
È un importante scultore a cavallo del `300 che si muove per i cantieri dei vari Comuni e Signorie lasciando una sola opera firmata, il San Simon Grando, dove dice di se´ in latino “Marco Romano scolpì questo insigne lavoro, la sua mano è degna di non piccole lodi”. La testa all’Accademia è calva, con un nido di riccioli in fronte, e altri ricci sulle tempie; i baffi si sollevano e ricadono, gli occhi hanno uno sguardo potente e fiero. A parte una scheggiatura sul naso e la scalpellatura del panneggio a destra è in ottime condizioni, poggiante su una base staccata, ma dello stesso marmo antico. Su chi potesse raffigurare, Lovato ricorda che «il vescovo Jacopo Albertini di San Pietro di Castello fu il committente del San Si meone, e potrebbe aver chiesto per la sua chiesa un busto del santo eponino Pietro». Tra gli elementi iconografici, lo scultore veneziano sottolinea che «l’occhio senza pupilla ma conil bulbo rotondeggiante, le orecchie morellianamente di Marco Romano, le sopracciglia sporgenti e folte e vene a rilievo sulle tempie e la fronte attraversata da sensibili rughe, fanno di questa rara scultura colossale del primo periodo gotico un capolavoro protoneoclassico».
Articolo da Il Secolo XIX – 2 gennaio 2014
vai all’articolo originale:
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2014/01/02/AQQEp8PB-capolavoro_trecentesco_riscoperto.shtml