Ai giardini Papadopoli di Venezia c’erano due statue del Marinali in pietra di Vicenza, una crollò a terra col terremoto dell’Emilia e non venne più collocata a fianco della sorella; rappresentavano Marte e Venere. Marte crollò e Venere rimase ad attenderlo. La coppia non era legittima, Marte dio della guerra era celibe e Venere era moglie reale di Vulcano, dio creativo e artefice dei metalli. Nell’umido inverno lagunare le due statue si esibivano discrete ma in estate godevano dello sguardo dei turisti, delle loro foto, del guano meno gradito dei colombi, della pioggia e del muschio che le copriva qua e là. Venere ora, sola e paziente, attende il simmetrico amante sotto il romantico lampione da anni… Sotto passano le giovani coppie, abbracciate e felici, lei non pensa all’AMORE, ne è la padrona e Eros è suo figlio e le frecce sono fatte dal marito, ma evoca la rete dorata e metallica che suo marito intrecciò e che le gettò sopra catturandola nel fedifrago amplesso con Marte, oggetti loro due dello scherno di tutti gli dei dell’Olimpo! Quella rete, pensa è come la nebbia, a volte come la neve, a volte come la luce… Che avvolge gli amori degli umani.
Racconto di Natale.
10
Feb
Annunci